Il giocatore di Fedor Dostoevskij

Le gambe che tremano, le mani fredde, il cuore che batte all’impazzata quasi a voler sobbalzare fuori dal petto, le tempie che martellano e l’ansia che opprime.

Il giocatore è talmente ammaliato dal tavolo verde che non se ne distaccherebbe per tutta la notte, divorato com’è dal demone che scava dentro di lui ed esige il suo tributo come quello di un dio pagano sul suo altare sacrificale.

“Ero in preda a una sorta di febbre e sospinsi tutto il mucchio sul rosso, e all’improvviso ritornai in me! E solo una volta in tutta la serata fui preso da un gelido brivido di terrore e da un tremito di mani e piedi. Con terrore percepii e istintivamente ebbi coscienza di cosa avrebbe significato per me perdere! Avevo puntato tutta la mia vita!"

In questo romanzo Dostoevskij affronta una tematica, purtroppo, ancora tristemente attuale: la dipendenza dal gioco. 

Ci troviamo nell’immaginaria cittadina di Roulettenburg, ove il precettore Aleksej Ivanovic è al seguito della famiglia di un generale, dei suoi due bambini e della figliastra, Polina Aleksandrovna di cui Aleksej è perdutamente innamorato. Vi sono anche mademoiselle Blanche, una cortigiana che il generale vorrebbe sposare, un francese ed un gentiluomo inglese. Sono tutti in attesa del telegramma che annunci la morte della nonna, la baboulinka, per poter entrare in possesso dell’eredità e realizzare le proprie ambizioni.

Con questo romanzo Dostoevskij ci sottopone la radiografia del giocatore.

Ce la presenta come farebbe un medico con l’anamnesi di un paziente. 

Si tratta di un romanzo molto intenso perché con abile maestria Dostoevskij ci descrive e ci fa vivere le sensazioni e le ansie del giocatore, di come il gioco occupi tutta la sua vita fino ad oscurare l’amore e i sentimenti più puri che vengono soppiantati durante quei lunghi, interminabili istanti trascorsi al tavolo da gioco.

Quando la voce del croupier è la sola cosa che scandisce il tempo in un baluginio fugace e ottenebrante del presente.

Perché neanche mangiare ha importanza per il giocatore, neanche bere, amare o vivere pur di ottenere quell’effimero riscatto che, ritiene, solo il gioco può offrirgli.

“Che cosa sono io, adesso? Uno zero. Che cosa posso essere domani? Domani posso resuscitare dai morti e ricominciare a vivere! Posso trovare l’uomo in me stesso, fino a che non è andato ancora perduto!”

Ed è così che i proponimenti presi, le promesse che quella sarà l’ultima puntata, le speranze tradite confluiscono alla definizione del profilo psicologico del giocatore.

Ogni suo desiderio, passione, obiettivo, speranza o velleità sacrificato al dio gioco. E la promessa che, domani, domani tutto finirà e il giocatore si alzerà dal tavolo. Ma accadrà domani.

Il romanzo attinge a piene mani dall’esperienza personale di Dostoevskij: anche lui come Aleksej aveva un problema di dipendenza da gioco che lo ha portato a sperperare il suo magro capitale, ad impegnare più volte il suo cappotto e i gioielli della moglie; anche lui è stato innamorato di una giovane donna per la quale avrebbe fatto di tutto. Sarà per questo che il romanzo risulta così drammaticamente intenso e ci si sente trasportati all’interno della storia che è viva, vera, reale. 


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