L'uomo che guardava passare i treni di Georges Simenon.
Stavolta viaggiamo con l’impiegato
medio borghese Kees Popinga da Amsterdam alla volta di Parigi in un viaggio che
esula da quello meramente spaziale per farsi interiore. Simenon ci conduce per
mano lungo i meandri della psiche umana indicando le tracce del percorso seguito
da Popinga.
Il placido, mite e abitudinario
Popinga da tutti stimato reagisce in maniera del tutto inaspettata alla notizia
del fallimento dell’impresa presso cui era impiegato. Proprio così. Anziché
ripiegarsi su se stesso e rassegnarsi alla situazione, prende in mano le redini
della sua vita e le dà una svolta del tutto inopinata.
Romanzo particolare, alienante a
tratti, evocativo sin nel titolo “L’uomo che guardava passare i treni” ci
suggerisce l’immagine di un uomo che sta ai margini quale mero spettatore in un
gioco che invece dovrebbe vederlo attore protagonista. Un uomo a cui viene
spesso accostato il colore grigio da sempre indicativo della terra di mezzo.
Scialbo, triste. Uno al quale è sempre stato detto che cosa fare, dove e come
comportarsi. Uno avvezzo a tacere le proprie opinioni, preferenze. Persino la
propria personalità che dirompe, come fiume in piena innescata da un evento
esterno.
Popinga, ingabbiato nel ruolo che
la vita, le circostanze, la sorte hanno voluto per lui si libera dai legacci
delle convenzioni perché comprende che è lui ad avere potere di decidere per sé
e per la propria vita.
“Per quarant'anni mi
sono annoiato. Per quarant'anni ho guardato la vita come quel
poverello che col naso appiccicato alla vetrina di una pasticceria guarda gli
altri mangiare i dolci. Adesso so che i dolci sono di coloro che si danno da
fare per prenderli»
Il germe della follia che
serpeggia lungo tutto il romanzo crea una profonda frattura perché si fatica
quasi a ricondurlo all’“uomo normale”, a quello che si poteva incontrare
nell’androne del palazzo o al bar nella pausa caffè. Forse perché si è spesso
portati a pensare che le persone capaci dei gesti più efferati debbano
manifestare un segno esteriore di quanto hanno commesso o commetteranno a
breve? Non è così, spesso vi è poco o nulla che lasci presagire quanto accadrà.
Molte sono le domande che potremmo porci sul “satiro” di Amsterdam, il paranoico che desidera ardentemente le luci della ribalta e di essere, per una volta, al centro dell’occhio di bue puntato su di Sè. Pazzo? Infelice? Triste? Forse semplicemente coraggioso di essere, finalmente, se stesso.
"In fin dei conti "Non c'è verità, ne conviene?"
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