Che paese, l'America di Frank McCourt
Frank ha diciannove anni quando la Quercia d’Irlanda attracca in America. New York con le sue luci scintillanti, terra tanto agognata, gli si stende davanti carica di tutte le aspettative di cui lui l’ha investita nei lunghi anni irlandesi. Frank inizierà dal basso, farà mille lavori. Svuotatore di posacenere in un grand hotel, scaricatore di porto, tirocinante in una compagnia assicurativa, impiegato di banca, soldato. In tutto questo suo peregrinare non mancherà di aiutare la famiglia al trasferimento in America.
Incoraggiato da un collega di lavoro che ammira profondamente tanto ad arrivare a desiderare che quell’uomo fosse suo padre, Frank si iscriverà all’università. Diventerà insegnante.
È un romanzo intenso che racconta con lo stile diretto a cui siamo stati abituati da “Le ceneri di Angela” la storia di Frank e di come sia giunto ad ottenere il suo riscatto. È riuscito ad entrare nei circoli della media borghesia e ad elevarsi dalla condizione di soggezione in cui la scarsità dei mezzi lo aveva relegato negli anni dell’infanzia.
Però non è facile. No, quando tutti a un certo punto si arrestano e gli dicono: Ma c’hai l’accento irlandese?
“Vorrei essere irlandese quando si canta o si recita e americano quando insegno. Vorrei essere irlandese-americano e americano-irlandese ma so che per me essere due cose contemporaneamente è impossibile anche se Francis Scott Fitzgerald diceva che la capacità di intrattenere nello stesso tempo dei pensieri opposti è indice di intelligenza”
Frank vive la condizione propria degli emigrati. Di coloro che non appartengono mai completamente a qualcosa. Irlandese in America e americano in Irlanda.
Ma non è solo questo. Qualcosa di irrisolto si muove dentro di lui. Il malessere proprio di chi è stato abbandonato da un padre che, alla famiglia, ha preferito bersi tutto. Di un padre che neanche è stato capace di riconoscerlo nè di ricordare il nome dell’ultimo figlio. Pazzesco, no? Ma anche la distanza dalla madre, donna che ha vissuto mille sofferenze e ha avuto una vita durissima. Perché non è mai riuscito a colmare la distanza che li divideva. Perché non ha potuto avere il cuore grande e la porta aperta che aveva lei?
È un romanzo bello. Duro. Che ho amato perché ha raccontato che cosa ne è stato del piccolo ragazzino irlandese dagli occhi e i denti rovinati, come diceva lui, che mi è entrato nel cuore.
Le ultime pagine sono davvero struggenti. Bello, immediato, unico.
Leggetelo.
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