Le quattro casalinghe di Tokyo di Natsuo Kirino

Questo romanzo ci narra di un Giappone diverso da quello che immaginiamo qui in occidente. Lontanissimo dalle belle fioriture dei sakura o dalle deliziose cerimonie del thè. Racconta di una periferia malfamata, povera, ci parla di persone ai margini o quasi della società che si arrabattano per racimolare qualche yen e tirare avanti.

Il titolo, nella traduzione italiana, è fuorviante e già rivelatore del maschilismo imperante nella società nipponica. Perché? Perché le quattro donne non sono casalinghe ma lavorano in una società sottoponendosi a sfiancanti turni di notte. Non mancherà chi le giudicherà per questo. Una donna, si sa, deve stare in casa, occuparsi di marito, figli, suocere, animali domestici e chi più ne ha, più ne metta.

Le quattro donne, Yayoi, Masako, Kuniko e Yoshie, non sono amiche, diverse per indole, carattere, atteggiamento, nucleo familiare. Non potrebbero essere più distanti le une dalle altre ma si ritrovano allo stesso nastro trasportatore e diventano colleghe sostenendosi ed aiutandosi nel lavoro.

A voler individuare un trait d’union tra le quattro donne è la loro profonda solitudine. 

Solitudine che non risparmia la forte Masako, mente del gruppo, neanche in seno alla famiglia.

Il senso di solitudine che avviluppa quando si sta in mezzo agli altri è ancora più dilaniante di quello che si prova quando si è soli, si sa. Non c’è rimedio. 

“A un tratto capì che la vera punizione, se di punizione poteva trattarsi che aveva dovuto soffocare così al lungo il suo desiderio di libertà”

I personaggi, tutti ben caratterizzati, sono alla ricerca della loro “via d’uscita” quella che possa garantire loro la libertà. Chi di essi vi riuscirà, faticherà molto per raggiungere l’intento.

Il focus della narrazione si incentra sull’arguta Masako, cuore pulsante del gruppo, donna ancora alla ricerca di se stessa e del pieno sviluppo della sua personalità. È un personaggio affascinante il suo, intelligente, bella, caparbia e determinata, mai disposta a chinare il capo di fronte alla paura.

Riuscirà a scoprire aspetti di se stessa di cui ignorava completamente l’esistenza. Si ha l’impressione che le sue azioni, per quanto mostruose, siano volte comunque alla rinascita e alla ricerca del positivo. Al contrario di un altro personaggio, Satake, pure molto importante nell’economia del romanzo, che è teso verso l’obiettivo opposto della distruzione sua e di chi lo circonda. Quasi che per poter amare debba spingersi alla distruzione della persona amata. 

C’è una certa somiglianza tra la sensazione di aver perso la strada e non sapere dove andare e la consapevolezza di non avere più la possibilità di poter tornare indietro. Ci si sente assolutamente liberi”

Il romanzo, abbastanza crudo in talune descrizioni, è molto scorrevole. Scritto con un linguaggio lineare e pieno di dettagli che tengono il lettore incollato alle sue pagine per sapere se alla fine il lato oscuro avrà la meglio o verrà invece spazzato via dalla luce.

Leggendo si ha l’impressione che non vi sia un ruolo ben definito tra vittima e carnefice: paiono scambiarsi ripetutamente le parti se non che alla fine ci si domanda chi sia l’uno e chi l’altra.

Romanzo macabro in cui si alternano delinquenti di piccolo calibro, spietati yakuza, povera gente, e permeato da un senso di solitudine, straniamento e desolazione il tutto colorato da tinte forti. 

Natsuo Kirino fa riflettere tra le pieghe della storia sul buono e il cattivo, su che cosa è giusto e su ciò che invece non lo è. C’è chi uccide sì, ma quanto ha sofferto?  E allora l’assassino è il mostro o è la vittima? Ne consiglio la lettura.


 

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