Il tatuatore di Auschwitz di Heather Morris

Lale cerca di non alzare lo sguardo. Allunga la mano e prende il pezzo di carta che gli viene porto. Deve trasferire le quattro cifre sulla ragazza che lo stringe. Quando ha terminato, la trattiene per il braccio un attimo più del necessario e la guarda ancora negli occhi… gli occhi di lei gli danzano davanti. Mentre li fissa, sembra che il suo cuore allo stesso tempo smetta di battere e ricominci per la prima volta, impetuoso. Lale abbassa lo sguardo verso il suolo che oscilla sotto i suoi piedi. Quando risolleva lo sguardo lei non c’è più”.

Inizia così il romanzo che racconta la vita di Lale Sokolov, giovane e affascinante figlio di un industriale slovacco deportato ad Auschwitz. Lale è il tatuatore di Auschwitz.

Il romanzo parla della sua vita, stravolta dall’incubo nazista e dei campi di concentramento e di come egli sia riuscito a sopravvivere nonostante gli orrori, i lutti, le perdite irreparabilmente subite.

Dopo un’esperienza simile, quello che un giovane uomo sarebbe dovuto diventare non sarà più. Non si riusciranno mai a cancellare le perdite e gli orrori dagli occhi e dal cuore. Ma Lale vuole combattere. Non molla la presa. Lotta con lo sguardo fiero e determinato.

“Quando sono arrivato qui ho giurato a me stesso di sopravvivere a questo inferno. Sopravviveremo e ci costruiremo una vita in cui saremo liberi di baciarci quando vogliamo e di fare l’amore quando ci va”

Il romanzo racconta con delicatezza la storia personale di due persone, Lale e la sua dolce Gita, vissute in un periodo vergognoso della storia dell’umanità. Due esseri umani privati del nome, ridotti unicamente al numero tatuato sul braccio sinistro, con l’intento che quel numero annientasse la persona che vi stava sotto con la sua dignità, il nome e l’identità. 

Ecco che cosa volevano fare i nazisti. Cancellare l’identità. Troppo scomoda, molesta. E allora l’ebreo, lo zingaro, il dissidente politico, l’omosessuale andava preso e cancellato. Gasato nei forni crematori o sfiancato dalla fame, dagli stenti e poi fucilato. Così. Solo per il gusto di farlo. Perché loro potevano.

Per lungo tempo Lale ha vissuto quasi con il senso di colpa del sopravvissuto. Perché io ce l'ho fatta e gli altri no?

In realtà le uniche persone che avrebbero dovuto provare dei sensi di colpa sono quelle che hanno consentito ad un essere spregevole come Hitler di procedere allo sterminio di milioni di persone. Quelli che se ne sono stati a guardare e non hanno mosso un dito, esistono anche i reati omissivi – grazie al cielo. E quelli che hanno collaborato.

Lale e Gita no. Loro sono solo due anime pure travolte da un evento straziante della storia dell’umanità.

Una storia bellissima, intensa, una di quelle che ti si annida in uno spazietto del cuore e non ti lascia.

Sono felice, davvero felice di averla letta. Nonostante l’emozione e le lacrime che, di fronte a storie come questa, non mancano.

È un romanzo intenso e commovente come la vita che, distrutta, annientata, insultata è pur sempre vita e va vissuta. 


 

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