Schiavo d'amore di William Somerset Maugham

Ho appena letto l’ultima pagina di questo meraviglioso romanzo e penso che Philip Carey mi accompagnerà al lungo. Un uomo unico. Stupendo. Bellissimo nella sua anima luminosa e ricca di immenso amore. Philip ha nove anni quando perde la mamma. Di lei ricorda il calore del suo corpo che lo ha abbracciato nell’ultima mattina della sua vita. È solo al mondo perché il padre, celebre chirurgo, è morto pochi mesi prima. Viene così affidato alla famiglia dello zio, il vicario Carey che lo accudirà insieme alla moglie.

Il bambino è afflitto da un problema al piede che lo fa sentire diverso dagli altri. Sente di avere dei limiti. È una storia struggente quella del piccolo Philip che cerca di farsi accettare a scuola e di sopravvivere alle angherie degli altri studenti. Lo storpio, lo chiamano. Lo picchiano e lo insultano perché la sua disabilità gli vale l’esonero dalle percosse degli insegnanti. È così che, in mancanza di amici, si rifugia nei libri trovando in loro un porto sicuro.

Maugham non ci descrive nulla di Philip, non sappiamo se sia alto, basso, nulla a proposito del colore dei suoi occhi né dei capelli. Quasi a volercelo mostrare ridotto all’unica cosa che lo rende diverso dagli altri, la sua disabilità. È mirabile in questo perché ce lo mostra così come le persone lo vedono. Lo storpio.

La vita per il giovane Philip non è facile. Preso in giro dai compagni di scuola per via del piede e privato dell’amore dei genitori, si rende conto da subito delle difficoltà del vivere.

“Aveva cominciato a rendersi conto di quale perdita fosse stata per lui la morte dei genitori. L’amore dei genitori il solo sentimento completamente disinteressato. In mezzo ad estranei era cresciuto come meglio poteva, ma di rado era stato trattato con pazienza o indulgenza”  

Da sempre diffidente e morbosamente suscettibile, è interdetto di fronte alle manifestazioni di affetto che gli vengono rivolte. Non si rende conto del motivo per cui la gente dovrebbe interessarsi a lui.

Così nasconde la sua timidezza dietro i silenzi.

È un ragazzo che viene quasi voglia di abbracciare schiacciato com’è dalle sue fragilità che chiunque non manca di ricordargli. Come se servisse! Philip è una persona speciale, sempre presente per chi abbia bisogno di lui. Un essere umano che darebbe tutto quanto in suo possesso per scambiare la sua vita con la vita di uno qualunque dei suoi compagni di studio. Per poter essere normale. Anche lui. Uno uguale agli altri, lui che non lo è mai stato.

Bella la galleria di personaggi finemente tratteggiati in cui si imbatte. Dall’amico Hayward conosciuto in Germania ai compagni pittori, la famiglia Athelny e Mildred la donna da cui lui è letteralmente ossessionato. Farebbe di tutto per lei. Pronto a calpestare non solo l’orgoglio ma la propria dignità di essere umano.

Sì, perché lei lo tiene in pugno. Riesce ad ottenere da Philip qualsiasi cosa desideri. Lo umilia. Lo degrada. Gli fa toccare i livelli più bassi dell’abiezione.

Quell’amore era una tortura, ed egli aborriva esserne soggiogato; era prigioniero e agognava la libertà”

Quello che ho più amato in lui è il non risparmiarsi di fronte al dolore. Lui è uno che va fino in fondo alle sofferenze. Spinto dalla malsana volontà di passare le unghie su una ferita sanguinante. Non si fa nessuno sconto. Quasi fosse votato alla distruzione. È uno che piange tutte le sue lacrime e poi riparte Philip. È un uomo non immune a sentimenti di invidia verso i cosiddetti normali ma questo suo atteggiamento trova chiara spiegazione nella storia della sua vita.

Arriva a toccare il fondo del barile e da lì ha due opportunità: lasciarsi andare o tentare di risalire la china.

Alla fine giunge a comprendere la risposta alla domanda mai esplicitamente formulatagli dall’amico Cronshaw.

l’uomo nasce, soffre e muore. Nella vita non c’era significato, e l’uomo vivendo non serviva alcun fine. Era irrilevante che nascesse o no, che vivesse o cessasse di vivere. La vita era insignificante e la morte priva di importanza”

La risposta a quell’interrogativo dona a Philip un’improvvisa serenità. Se non c’è nessun senso, il fallimento così come il successo non hanno alcun valore.

La grandezza del romanzo sta nella profonda umanità di Philip che farà fatica a trovare il suo posto nel mondo. Ho amato profondamente questo romanzo perché Maugham ha saputo descrivere con mirabile approfondimento psicologico Philip presentandocelo in tutta la sua fragilità di essere umano che non ha mai saputo del tutto perdonarsi la sua disabilità, quasi ne fosse in un certo senso responsabile. Non meno caratterizzati risultano gli altri personaggi: Mildred, la cattiva, anche il lettore è portato a odiarla.

Maugham ci travolge letteralmente entro il suo meraviglioso romanzo di formazione dai risvolti eminentemente autobiografici, c’è molto di lui in Philip, portandoci quasi ad indentificarci con il protagonista. Nessuno di noi è mai stato perfetto, del resto.

Che dire? Philip Carey, il bambino orfano, poi fattosi uomo, mi mancherà.


 

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